L'ARBITRO Vista la riserva assunta all'esito dell'udienza arbitrale istruttoria del 7 novembre 2005; Vista la propria ordinanza di rimessione della questione di legittimita' costituzionale in data 22 luglio 2004; Letta l'ordinanza n. 298/2005 della Corte costituzionale resa all'esito dell'ordinanza di rimessione anzidetta; Visto il lodo parziale emesso in data 23 settembre 2005 con cui dichiara la propria competenza a decidere sulle richieste delle parti, notificato dal resistente all'attrice il 28 settembre 2005 e passato in giudicato per decorso del termine di impugnazione e per acquiescenza della sig.ra Vincenzi; Essendo stata conseguentemente risolta in senso positivo la questione inerente la competenza dell'arbitro a decidere sulle domande che le sono state sottoposte e sollevata dalla Corte costituzionale con la predetta ordinanza; Rileva la questione di legittimita' costituzionale prospettata da questo arbitro nell'ordinanza 22 luglio 2004 si ripropone ora negli stessi esatti termini, giacche' le parti insistono nelle proprie reciproche pretese e questo arbitro ritiene che la domanda della sig.ra Vincenzi sia infondata ma cio' a causa di un'arbitraria ed irragionevole limitazione dell'applicabilita' delle norme che esentano da ogni tributo gli atti del processo di divorzio, alla disciplina dell'Iva e dei contributi previdenziali a carico del cliente, in ordine ai compensi che il difensore chieda al proprio cliente. Resta cioe' confermato quanto notato nella predetta ordinanza che quindi si trascrive. Considerato in diritto Le questioni sottoposte alla scrivente arbitro sono due: a) la richiesta della sig.ra Vincenzi all'avv. prof. Gianluca Sicchiero, di restituzione dell'iva e del contributo del 2% per cassa nazionale avvocati, versati sulla fattura n. 320 del 2004, in quanto somma indebitamente pagata non ritenendo che l'onorario versato fosse da gravare di tale imposta; b) la pretesa della sig.ra Vincenzi di non versare l'iva in rivalsa ed il contributo 2% c.n.a. sull'ulteriore acconto di Euro 500 chiesto dall'avv. prof. Sicchiero. La sig.ra Vincenzi motiva le sue pretese sul rilievo che l'art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, indica che «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio ... sono esenti dall'imposta di registro e da ogni altra tassa». Poiche' la Corte costituzionale, con le sentenze n. 176 del 1992 e n. 154 del 1999 ha dichiarato l'incostituzionalita' di detta disposizione laddove non comprende nell'esenzione del tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione (sent. 176/92) e piu' in generale laddove quanto ivi previsto non si estenda in generale al procedimento di separazione (sent. 154/99), la stessa ritiene che di conseguenza che la legge preveda in linea generale l'esenzione da qualsiasi tributo dovuto allo Stato per i giudizi di divorzio e separazione, senza distinzione tra il tipo di tassa od imposta da applicare. Quindi anche l'imposta sul valore aggiunto e il contributo previdenziale che il cliente deve versare al suo difensore; perche' questi lo versi a propria volta alla Cassa forense, rappresenterebbero oneri che invece non sono dovuti. A nulla rileverebbe poi il fatto che la Cassa avvocati sia ente di diritto privato: la contribuzione a carico del cliente rappresenta pur sempre un prelievo forzoso che costituisce un aggravio del costo di difesa che dovrebbe invece rappresentare l'unico onere a carico della parte. Aggiunge poi che la lettura estensiva del termine tassa, e' stato avallato anche dalla giurisprudenza della corte di cassazione, ad es. con le sentenze della sez. tributaria 22 maggio 2002, n. 7493; 24 novembre 2000, n. 15212; 12 maggio 2000, n. 6065. Rileva anche che dopo l'ordinanza n. 538/1995 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato inammissibile per difetto di motivazione la questione di legittimita' costituzionale della disposizione sopra citata, in ordine alla mancata previsione dell'Invim al tempo in vigore, la cassazione, con la sentenza 17 febbraio 2001, n. 2347, ha invece accertato che nemmeno detta imposta trovi applicazione ai trasferimenti effettuati in sede di scioglimento del matrimonio. Di qui, allora, la sua pretesa di vedersi restituire dall'avv. prof. Sicchiero quanto gia' versato per rivalsa iva e cpa e di non pagare quanto egli chiede, a titolo di accessori di legge, su un ulteriore acconto relativo al giudizio di separazione in cui il legale la sta assistendo. Il prof. Sicchiero ha dichiarato di condividere in linea di principio le ragioni fatte valere dalla cliente, ma che le disposizioni in tema di iva e di contributo previdenziale della cassa forense lo autorizzano a chiedere al cliente il pagamento dell'imposta e del contributo medesimi per versarli poi all'erario ed alla cassa forense. In particolare osserva che l'art. 11 della legge 20 settembre 1980, n. 576, obbliga l'iscritto ad applicare una maggiorazione percentuale, attualmente del 2% su «tutti i corrispettivi rientranti nel volume d'affari ai fini IVA e versarne alla Cassa l'ammontare indipendentemente dall'effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore». La maggiorazione e' ripetibile nei confronti di quest'ultimo». Dunque ove egli non applicasse la maggiorazione in esame, il relativo importo resterebbe a suo carico. Quanto all'IVA, l'applicazione dell'imposta alle prestazioni professionali e' regolata dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 che riconduce alla base imponibile anche le attivita' professionali, agli artt. 1, 5, 13 e 14, imponendo l'applicazione dell'imposta stessa con l'aliquota indicata nell'art. 16. Tale d.p.r., inoltre, non esclude le attivita' professionali perche' non le comprende tra le operazioni esenti da imposta di cui all'art. 10. Ora poiche' il soggetto passivo dell'imposta e' il professionista (art. 17). salva la rivalsa obbligatoria sul cliente ex art. 18, anche qui l'imposta resterebbe a suo carico ove non la ripetesse dal cliente. Il prof. Sicchiero osserva infine, che le imposte in oggetto potrebbero ritenersi non dovute dal cliente solo a condizione che le fatture emesse possano ritenersi incluse nella dizione «atti, documenti e provvedimenti relativi al processo di scioglimento del matrimonio» di cui all'art. 19 legge n. 74/1987, il che non gli pare essere. Dunque poiche' la legge esenta il coniuge da quelle tasse ma non impone al difensore di non ripeterle dal cliente, ritiene che sia suo diritto addebitarle al cliente stesso. Sulla base di queste premesse, l'arbitro deve decidere se la sig.ra Vincenzi possa ripetere dal prof. Sicchiero quanto egli abbia riscosso per cpa ed iva sull'acconto ricevuto e se la stessa sia tenuta a versare tali imposte anche sull'ulteriore acconto richiesto. Cio' detto O s s e r v a 1. - Sulla competenza dell'arbitro. Questo arbitro e' competente a giudicare sulla lite in essere, come deciso nel lodo parziale passato in giudicato e che si invia alla Corte costituzionale con il fascicolo del procedimento. Riassunta in estrema sintesi la motivazione ivi contenuta, alla quale peraltro si rinvia per completezza, l'arbitro ha rilevato che: a) costituisce diritto vivente, secondo la nozione della Corte costituzionale, che non spetti alla giurisdizione delle commissioni tributarie la pretesa del privato, rivolta ad altro privato, di non pagare una somma ancorche' involga questioni di diritto tributario ad es. in tema di rivalsa Iva, di accantonamento di somme per la costituzione di posizioni previdenziali, secondo costante giurisprudenza delle sezioni unite del S.C. (Cass., sez. un., 4 maggio 2005, n. 9191. 12 marzo 2004, n. 5187, 19 febbraio 2004, n. 3343, 20 maggio 2003, n. 7944, 29 aprile 2003, n. 6632, 11 febbraio 2003, n. 1995); b) di conseguenza il punto della questione riguarda la competenza esclusiva, ex art. 9 c.p.c., del tribunale; c) tale competenza va sicuramente affermata quando oggetto della pretesa sia una pretesa tra un ente impositore ed il soggetto passivo dell'imposta, tributo o tassa (cass., 11 febbraio 1985, n. 1118) e non del rapporto privatistico inerente la rivalsa o regresso tra soggetti privati quale quello qui in esame. Valgono cioe' anche in riferimento all'art. 9 c.p.c. le stesse considerazioni fatte per rilevare come il rapporto qui in giudizio sia sottratto alla competenza delle commissioni tributarie. Infatti non e' compromettibile in arbitrato la controversia tra il comune ed il privato che abbia ad oggetto prestazioni accessorie ai diritti di affissione, che possiedono natura di tassa (cass., 15 ottobre 1998, n. 11630), appunto in quanto lite tra ente impositore e privato che riguarda una tassa. Viceversa e definitivamente, «la causa tra privati, avente ad oggetto il pagamento del residuo corrispettivo di un contratto d'appalto e dell'iva di rivalsa (art. 18 dp.r. 26 ottobre 1972, n. 633), ancorche' implichi la contestazione dell'assoggettamento a detta imposta, per pretesa ricorrenza di una ragione di esenzione, non investe il rapporto tributario fra contribuente ed amministrazione finanziaria e, pertanto, puo' essere sottratta alla competenza dell'autorita' giudiziaria in forza di clausola compromissoria». Tanto basta ad escludere la sussistenza di qualsiasi questione sottratta alla competenza dell'arbitro o che ex art. 819 c.p.c. imponga la sospensione del giudizio, come gia' indicato nel lodo parziale. 2. - Sulla fondatezza della domanda della sig.ra Vincenzi. Le disposizioni richiamate dal prof. Sicchiero depongono senza ombra di dubbi per il suo diritto di agire in rivalsa verso la cliente per il ristoro del contributo soggettivo c.p.a. del 2% e dell'iva 20%, sicche' la domanda della sig.ra Vincenzi dovrebbe venir respinta, non contenendo quelle regole alcuna esenzione per il giudizio di divorzio. Inoltre l'art. 19 della legge 74 del 1987, quando si riferisce all'esenzione delle imposte e tasse sugli atti, documenti e provvedimenti del procedimento, non si estende ai costi che il cliente debba subire per far valere il proprio diritto di difesa mediante il proprio difensore, la cui fattura e' solo impropriamente un «documento» ed e' comunque estranea al procedimento, riguardando i rapporti tra cliente e professionista. Non e' quindi possibile alcuna interpretazione diversa delle disposizioni sopra rammentate, che consenta a questo arbitro di accogliere la domanda della sig.ra Vincenzi. 3. - Sulla illegittimita' costituzionale delle disposizioni da applicare. Ritiene questo arbitro che il rigetto delle domande della sig.ra Vincenzi si fondi peraltro su disposizioni in contrasto con i principi di ragionevolezza e di coerenza sanciti dall'art. 3 della Costituzione. L'irragionevolezza sta in cio': il legislatore ha ritenuto di esentare i coniugi che debbano separarsi o divorziare, da qualsiasi costo fiscale, eliminando, fra le altre, le imposte di bollo e di registro. La giurisprudenza della cassazione condivide tale impostazione, al punto di aver ritenuto che i provvedimenti stessi fossero esenti da Invim, quando l'imposta era in vigore, ancorche' la relativa normativa non fosse stata dichiarata incostituzionale. I costi di tali imposte, peraltro, erano e sarebbero marginali: quella di bollo, oggi abrogata, prevedeva somme davvero marginali (Euro 10,66 per foglio); l'imposta di registro, attualmente in vigore, prevederebbe una tassazione del 3% sui valori enunciati nell'atto e sarebbe invece a tassa fissa nelle altre ipotesi, come indica in generale l'art. 8 della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131 e come disponeva specificamente, per le separazioni ed i divorzi, la relativa lett. f). Appare quindi irragionevole che il coniuge sia tenuto a versare a titolo di contributo c.p.a. il 2% dell'onorario pagato al proprio difensore e, calcolata anche su questo, l'Iva nella misura del 20%, il che porta il costo complessivo, per tasse e contributi, al 22,4% dell'onorario versato al proprio difensore. In particolare, se si considera che un giudizio contenzioso puo' costare migliaia di Euro, e' evidente che tale tassazione sarebbe ben piu' alta dei costi che il legislatore ha voluto eliminare nell'art. 19 della legge 74 del 1987. Ed anche un giudizio di divorzio consensuale, per il quale si ipotizzi un onorario minimo di 1.000 - 1500 euro, vedrebbe un costo non inferiore al Euro 224, ovvero il doppio della tassa di registro in misura fissa sulla sentenza, che pure e' stata eliminata per questo tipo di giudizi. Inoltre il coniuge si vede tutelato dalle pretese dirette del fisco, che non puo' tassare la sentenza e gli altri atti e documenti del processo, ma non da quelle «indirette»" che si attuano mediante l'applicazione della rivalsa da parte del professionista. Cio' senza dimenticare, sia chiaro, che il contributo per cpa e' devoluto alla Cassa nazionale forense, che e' ente di diritto privato, ma senza sottacere peraltro che per il privato la natura privata o meno dell'ente che percepisce il contributo obbligatorio e' irrilevante, stante l'impossibilita' per il medesimo di non pagare la somma stessa. Dunque, dal profilo del soggetto percosso, si tratta pur sempre di un costo riscosso dal professionista, che lo deve versare ad enti terzi per le funzioni (qui: previdenziali) che questi svolgono addirittura nell'interesse del professionista medesimo. Che poi il meccanismo di applicazione delle imposte stesse non passi attraverso il processo, nel senso che cpa ed iva non sono riscosse mediante tassazione operata sugli atti del fascicolo di causa dall'Ufficio delle Entrate, e' circostanza accidentale del tutto irrilevante, che non elimina il punto centrale della questione, ovvero che il coniuge che divorzia si vede comunque tenuto a sostenere un onere a titolo di Iva e c.p.a. ancorche' la legge lo esoneri da qualsiasi tributo, intesa in senso ampio come fa la giurisprudenza di legittimita'. Anzi, proprio tale circostanza dimostra la violazione del principio di coerenza dell'art. 3 della costituzione, perche' pur essendo stato eliminato ogni costo per tassa o imposta, altri costi fiscali e previdenziali vengono ugualmente riscossi dallo Stato e dalla Cassa previdenziale, sia pure con il meccanismo indiretto della rivalsa da parte del professionista. C'e' infine da notare che il Legislatore, nel modificare anche nel corrente anno la disciplina del giudizio di divorzio (l../2005) non ha inteso rimediare in alcun modo alla prospettata questione di costituzionalita', peraltro ormai nota perche' l'ordinanza 22 luglio 2004 era stata regolarmente notificata anche ai presidenti delle due camere e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Cio' conferma quindi che il Legislatore non ha previsto in alcun modo l'esenzione degli onorari del difensore dall'imposizione fiscale e previdenziale sopra indicata. Ne consegue l'irrazionalita' delle disposizioni indicate, appunto perche' il coniuge e' stato esentato da tasse ed imposte un tempo anche elevate (l'Invim sui trasferimenti, quand'era dovuta) e che oggi possono in concreto raggiungere importi da piu' elevati (le imposte ipotecarie di trascrizione se nella sentenza o nel verbale si trasferisca l'immobile ad uso abitativo) o somme fino a tutto sommato modeste (la tassa fissa di registro sulla sentenza; i diritti di copia per le copie autentiche degli atti e delle sentenze) mentre l'ammontare dell'Iva e del Cpa, ove l'onorario sia anche di modesto ammontare, sara' di pari importo a quello della tassa di registro, per poter poi salire a somme ben piu' considerevoli a seconda dell'onorario dovuto. 4. - Sulla competenza dell'arbitro a sollevare la questione di costituzionalita'. Il presente arbitrato ha natura rituale e di diritto; l'arbitro e' quindi legittimato a sollevare la questione di costituzionalita' in base al rilievo fatto proprio nella sentenza della Corte costituzionale, 28 novembre 2001, n. 376. per cui appunto gli arbitri rituali sono legittimati a sollevare in via incidentale questioni di costituzionalita' delle norme di legge che sono chiamati ad applicare. A seguito del lodo parziale dimesso all'udienza del 7 novembre 2005 e passato in giudicato e' ormai superata ogni questione circa la competenza di questo arbitro a decidere della lite sottopostale. La persistenza della questione di legittimita' costituzionale, nella stessa identica prospettazione con cui gia' si era presentata ed oggi stesso si presenta, impone la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. D'altro canto la stessa Corte costituzionale, con l'ordinanza di manifesta inammissibilita' della questione in precedenza sollevata per mancata valutazione della competenza dell'arbitro, ha implicitamente confermato la competenza dell'arbitro stesso a sollevare la questione di legittimita' costituzionale, che altrimenti avrebbe costituito un ostacolo logicamente pregiudiziale a qualsiasi altra questione, conformemente ai propri precedenti. Quanto infine alla violazione del criterio di ragionevolezza sopra indicato, che risulta contestata dall'avvocatura dello Stato costituitasi nel precedente giudizio, l'arbitro osserva che le indicazioni sopra riportate suffragano invece e pienamente detta violazione. A cio' s'aggiunga che e' proprio giurisprudenza della Corte indicare che la razionalita' della disposizione di legge costituisce motivo di sua persistente validita', a condizione beninteso che sussista, in presenza di un diverso trattamento di situazioni eguali (tra le molte v. sent. n. 117/1975). Nel caso di specie detta razionalita', come si e' dimostrato, manca del tutto. E lo confermano di recente ulteriori indici che dimostrano come quella denunciata costituisca l'unica ipotesi di imposizione fiscale o previdenziale che grava sui coniugi che si separino o divorzino; donde la sua totale irragionevolezza. Ad es.: a) la risoluzione n. 43/e del 7 aprile 2005 dell'agenzia delle entrate, secondo la quale perfino il giudizio di nullita' del matrimonio religioso e' esente da imposta di registro; b) la sentenza della Cassazione, sez. tributaria, n. 11458/2005, per la quale l'esenzione fiscale si estende a tutti gli atti del procedimento di separazione o divorzio, nessuno escluso.